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Scarpe Lidl, genesi di una tendenza da fast fashion

Stamattina sono andata alla Lidl in cerca delle celeberrime scarpe. Le sneaker gialle, blu e rosse che in questi giorni stanno facendo tanto clamore. Quelle che costano (meglio dire: costavano) 12,99 euro e ora si trovano solo su eBay a prezzi da asta. Ahimè, sono arrivata tardi e lo sapevo. Il tempo di aprire le porte e le vendite, e le scarpe Lidl erano già sparite. Letteralmente prese d’assalto da migliaia di persone in tutti i negozi del marchio tedesco sparsi per l’Italia. Cosa sono andata a fare alla Lidl, dite? A comprare qualsiasi prodotto tessile o di abbigliamento della catena. Per cercare di capire questo fenomeno e dare un senso alla mia incazzatura nel vedere la gente che si arrabbattava per comprare un paio di sneaker.

Non sono una cliente Lidl, pur avendolo vicino casa. Non tanto per snobismo (anche se quando vedo i contenitori con oggetti sparsi, scatole aperte ed etichette strappate una parte di me muore lentamente), quanto per pigrizia.

Vengo a sapere mio malgrado della follia collettiva per queste scarpe, che in parte mi fa imbestialire e in parte mi diverte (di meme ormai è pieno l’internet) e continuo a pensare che sia tutto assurdo. Per capire devo toccare con mano, e allora vai di Lidl, alla ricerca dell’occasione perduta.

Di scarpe nemmeno l’ombra, ovviamente, però trovo un paio di felpe di Harry Potter per i bimbi (primo regalo di Natale per la prole: check). E poi, la cosa più simile alle sneaker rimasta nei contenitori: un paio di ciabatte di Grinfondoro del mio numero. Supero a fatica il senso di colpa che mi provoca comprare cose a caso che non siano second hand e vado alla cassa. Prima di passare all’analisi delle suddette ciabatte, bisogna fare un passo indietro e capire cosa si cela dietro a un paio di scarpe o ciabatte Lidl (ma potevano anche essere Eurospin, il discorso è lo stesso).

Scarpe Lidl, la più grande trovata di marketing del 2020

Le sneaker della Lidl sono la migliore trovata markettara del 2020. Per un attimo sono stati in grado di farci dimenticare Dpcm e lockdown. Perché è ingenuo pensare che il successo di un prodotto qualsiasi, dall’estetica opinabile e – presumiamo – dalla qualità poco più che sufficiente, sia un caso. Un’enorme colpo di fortuna dovuto a coincidenze astrali. Il prodotto giusto al momento giusto. Non funziona esattamente così. A dispetto di quanto voglia farci credere la Lidl:

La scorsa estate è stata rilasciata nei punti vendita Lidl in Svezia, Francia e Germania ottenendo un successo inaspettato. Anche qui il successo è stato davvero inatteso e, soprattutto, rapidissimo.

Quando un’azienda del calibro di Lidl posiziona sul mercato una collezione di abbigliamento monomarca, c’è dietro una lunga progettazione. E se è vero che non si può stabilire a priori la viralità di un prodotto (che è sostanzialmente dettata da una serie fortuita di eventi), è certo che si possa mettere in atto una strategia vincente per una ben riuscita operazione commerciale.

La fascinazione per il marchio affonda le sue radici nel secolo scorso, non è di certo una novità del 2020. Ne ho parlato a fondo nella serie sulla moda sostenibile pubblicata per Slow-News, dove cerco di dare un senso al perché siamo affetti da shopping compulsivo e al motivo per cui ci autoinfliggiamo code di ore per accaparrarci un paio di scarpe sintetiche. Faccio un sunto per chi non l’avesse letta. Non è solo “colpa” nostra: è un secolo che tramite studi psicologici, sociologici, neuroscientifici e di mercato i reparti marketing di aziende piccole e grandi tentano di fregarci con operazioni di promozione e vendita. Si chiama bisogno indotto: se non ti serve, il marchio fa in modo che per te diventi una necessità.

Quando una campagna o un prodotto diventano virali, i suddetti reparti marketing brindano. Che è poi quello che è successo con le scarpe Lidl: una campagna pianificata che ha fatto il botto a pochi giorni dal lancio. Un prodotto che riesce a diventare, oltre che virale, un fenomeno sociale e di costume, diventa una miniera d’oro per l’azienda.

Le scarpe Lidl sono davvero una provocazione?

Le ultime tendenze modaiole ci hanno abituato all’estetica del brutto, del cheap, alla democratizzazione della moda. Basti pensare a Gucci e alle collezioni del suo direttore creativo Michele Alessandro o alla modella usata per le sue ultime campagne, di cui si è fatto un gran polemizzare. In fondo, andare in giro nel 2020 con una t-shirt con il marchio Lidl in bella vista, è un po’ come trasgredire le regole che le grandi griffe hanno imposto per anni. È un po’ come girare con addosso una maglietta con la scritta “Salame” come faccio io (è dell’Estetista Cinica), che scimmiotta le t-shirt monomarca. Non lo fai perché credi nel marchio (in realtà io credo molto nel salame), lo fai per rompere le regole, per non omologarti a tutto ciò sa di snobismo e arroganza: perché dovrei andare in giro con il logo di un marchio in bella vista? Mi pagassero per farlo! Anche in salame, benintesi.

La moda è ciclica, soprattutto nelle tendenze. L’abito ha sempre rappresentato il modo più immediato per comunicare ideologie, convinzioni, appartenenza a un gruppo. Negli anni venti erano i capelli corti delle donne che volevano emanciparsi, negli anni ’70 le borchie e gli strappi dello stile punk. È così dalla notte dei tempi. La differenza, questa volta, è che ci siamo cascati con tutte e due le gambe. Perché le sneaker della Lidl sono una trappola. Così come le t-shirt di H&M a 5 euro e i vestiti di Zara a 20. Fingono di darci la libertà di scegliere con i loro prezzi democratici, in realtà ci tengono sotto scacco rendendoci schiavi del marchio.

Perché i supermercati alla Lidl sono il nuovo fast fashion

Il lockdown ha imposto nuove abitudini e lasciato poche assuefazioni, tutte circoscritte alle mura domestiche. Con i negozi di abbigliamento fuori gioco, i supermercati sono diventati i nuovi presidi dello shopping. Chi va a fare la spesa non può fare a meno di buttare un occhio alle ceste o alle relle dell’abbigliamento a basso costo che propongono i supermercati. In tutte le catene possiamo trovare marchi noti e meno noti: solitamente sono stock a prezzi scontati che si esauriscono in poco tempo.

I supermercati stanno sostituendo, una collezione alla volta, i negozi del fast fashion. Perché andare in giro per store quando insieme a un litro di latte posso comprarmi anche un paio di jeans? Più comodo perfino di Amazon. Non devo fare nemmeno la fatica di scegliere tra dieci modelli di t-shirt, perché al massimo ce ne sono due o tre. Ed è un’occasione unica! Sempre. Tutto quello che vedi nel reparto abbigliamento di un supermercato simile a Lidl, infatti, ha la data di scadenza come il resto dei prodotti alimentari presenti nello store. Che si tratti della collezione di sneaker o quella di Harry Potter, i pezzi sono limitati, vanno a ruba, non li troverai mai più, e tanti altri eccetera che fanno rima con fregnacce.

L’idea che un prodotto faccia parte di una limited edition rende il prodotto stesso prezioso e inarrivabile, esclusivo ed elitario. Fino a che la stessa azienda non annuncia un restock della medesima collezione:

Già dalla tarda mattinata la collezione è andata sold-out in tutti i nostri punti vendita, da Nord a Sud. Non sappiamo dire con esattezza quale sia “l’ingrediente segreto”. Sappiamo però che molti clienti non sono riusciti ad acquistarla. Ecco perché stiamo già lavorando affinché la collezione moda possa essere riproposta in futuro nei nostri punti vendita: ora è prematuro fare previsioni sul periodo, ma sicuramente i nostri clienti verranno prontamente informati.

La dichiarazione della responsabile della comunicazione & CSR di Lidl ha quasi del beffardo. Pare si tratti della strategia dell’azienda per evitare i prezzi stellari del reselling della fan collection, di fatto ha tutta l’aria di essere una precisa strategia di marketing: fingo che sia una collezione a edizione limitata, ma ho la seconda tornata produttiva della collezione sotto banco. Soprattutto in tempi di Covid, dove produzione, logistica e distribuzione stanno subendo enormi rallentamenti, è legittimo sentirsi presi in giro.

Sostenibilità e filiera dei capi Lidl

Sul sito corporate dell’azienda, nella sezione “Prodotti tessili e calzature”, si fa riferimento agli “elevati standard di qualità e sicurezza” dell’azienda, alla “sostenibilità sia a livello sociale che ambientale”. Prodotti certificati Oeko-tex standard 100 e GOTS, trasparenza di filiera, riduzione di consumo di risorse e di energia. A leggere questa sezione, il gruppo che gestisce Lidl sembra essere il paladino della sostenibilità ambientale e sociale. Peccato che secondo l’ultimo report di Abiti Puliti, l’azienda risulti essere ben lontana dalla trasparenza di filiera di cui si vanta.

Sulle ciabatte di Harry Potter appena comprate per 5,99 euro non trovo etichette o indicazioni sul “made in”, né loghi di certificazioni. Come temevo. Per dovere di cronaca, posso dire che la maggior parte dei capi in cotone presenti nello store era dotato di certificazione Oeko-tex standard 100, nessuno invece riportava la certificazione GOTS, che è garanzia di un cotone coltivato in modo responsabile e sostenibile.

La specifica sul made in è fondamentale per un prodotto tessile ed è ben diverso dall’indicazione del dove e da chi è stato pensato, immaginato o disegnato quel prodotto. Ciò che importa, per stabilire se un’azienda è virtuosa o fa solo abbondante uso di greenwashing, è sapere dove e da chi è stato tagliato, assemblato, cucito quel prodotto. I reparti creativi o di prototipazione delle grandi aziende di solito sono distanti almeno un continente dalle fatiscenti fabbriche tessili dove vengono confezionati i capi che noi compriamo per pochi euro. Che sia made in Bangladesh, Vietnam, Cambogia, la faccenda cambia poco: se un articolo al dettaglio costa 12,99, quanto immaginate possa essere pagata la persona che l’ha fatto? Tolti i costi di logistica, materie prime, promozione e distribuzione? La risposta è: drammaticamente poco. Probabilmente le sneaker che cuciono non potrebbero permettersele nell’arco della loro intera vita.

Non è un’accusa solo nei confronti di Lidl. Come l’azienda tedesca, ce ne sono altre mille che si vestono di green e usano a sproposito la parola sostenibilità. Cosa possiamo fare noi come consumatori e persone con una coscienza? Sono tante le azioni da mettere in campo per non cadere nel tranello di un’operazione markettara, per evitare gli sprechi e non essere complici di aziende poco trasparenti: qui ne elenco qualcuna. A volte basterebbe anche solo fermarsi e pensare che, forse, dell’ennesimo paio di sneaker non ne abbiamo bisogno.

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