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Moda sostenibile

La definizione di moda sostenibile sta a indicare i rapporti tra contesti materiali, sociali e culturali nella moda. Si tratta di interconnessioni tra differenti aspetti della moda: si deve pensare al fashion come un sistema molto complesso, i cui aspetti sono strettamente legati uno all’altro. Il termine moda sostenibile include 3 aspetti ugualmente importanti: l’aspetto ambientale, quello legato alle condizioni e ai diritti dei lavoratori del settore tessile e l’impatto sulla salute dell’uomo.

Moda sostenibile fa rima con moda green

L’aspetto ambientale è quello forse più impellente: l’industria della moda è una delle più inquinanti al mondo e la seconda più importante in termini di volumi dopo l’alimentare. Da sola genera 1 miliardo e 200 milioni di tonnellate ogni anno di anidride carbonica, la temibile CO2, il principale responsabile dell’inquinamento atmosferico e dell’innalzamento irreversibile delle temperature terrestri. Per avere un parametro di riferimento, l’industria della moda inquina più dell’intero traffico aereo mondiale di un anno.

Non solo: è causa del 20% dello spreco d’acqua mondiale. Basti pensare al ciclo produttivo di capi basici che indossiamo tutti i giorni: il consumo medio di una t-shirt in cotone, durante tutto il suo processo di produzione, è di 2700 litri di acqua. Per produrre un paio di jeans ne servono circa 2800. L’inquinamento causato dall’industria della moda arriva anche alla terra, precisamente nelle discariche, dove ogni secondo viene rilasciato l’equivalente di un camion di vestiti dismessi.

Moda sostenibile è anche moda etica

L’avvento del fast fashion ha indotto le aziende tessili a delocalizzare la produzione dei capi nel sud-est asiatico o in altri paesi in via di sviluppo, dove la manodopera ha costi molto bassi. Inoltre i volumi di produzione si sono moltiplicati, i tempi si sono dimezzati e i prezzi sono diminuiti vertiginosamente. In altre parole, per garantire al consumatore un prezzo basso, i capi prodotti devono avere dei costi di produzione irrisori. Chi produce quei capi lavora in condizioni estreme, in edifici pericolanti, con temperature insopportabili e senza nessuna garanzia o tutela.

Nel 2015 Fashion Revolution fece un esperimento sociale: mise un box al centro di Alexanderplatz a Berlino con all’interno t-shirt a due euro. Prima dell’acquisto appariva un video con immagini e interviste a chi quelle magliette le fabbricava. Donne, uomini, in alcuni casi anche bambini, che dall’altra parte del mondo confezionano capi a basso costo in condizioni disumane. Un modo estremo per far capire a chi fruisce della moda quotidianamente cosa si cela dietro a un capo. L’aspetto etico della moda sostenibile si occupa dei temi sociali, dei lavoratori che stanno dietro al processo produttivo. Non si può parlare di moda sostenibile se una t-shirt in cotone organico, prodotta da un’azienda che si vanta di avere ridotto le emissioni di CO2, viene confenzionata da lavoratori sottopagati e sfruttati.

La moda sostenibile e l’importanza della salute

L’ultimo aspetto, non meno importante, della moda sostenibile riguarda la salute. Metalli pesanti, formaldeide, fatlati, solventi, coloranti: sono solo alcune delle sostanze chimiche pericolose presenti nei vestiti che indossiamo ogni giorno. Un’indagine dell’Associazione Tessile e Salute , per conto del Ministero della Salute, ha messo in evidenza la presenza di alcune di queste sostanze sui capi presenti sul territorio nazionale. Queste sostanze, da tempo vietate in UE, provengono da prodotti confezionati all’estero. I vestiti che compriamo sono spesso la causa di dermatiti gravi e patologie della pelle: secondo uno studio commissionato dalla UE sono il 7-8% delle malattie dermatologiche.